Il caso 5G: la consulenza scientifica al Parlamento

Il caso 5G: la consulenza scientifica al Parlamento

di Chiara Sabelli / Scienza in rete

Non potrebbe apparire più urgente che in questo momento storico la necessità di strutture e processi che garantiscano l’accesso dei politici alla conoscenza scientifica e tecnologica, soprattutto quando questa è in evoluzione e presenta aspetti su cui non c’è consenso unanime fra gli esperti.

Proprio di questa necessità abbiamo discusso (Chiara Sabelli e Luca Carra) durante il dibattito ‘5G in Parlamento. Il ruolo della conoscenza scientifica’, organizzato all’interno del Festival della Scienza di Genova, quest’anno dedicato al tema ‘Onde’.

Il caso della tecnologia 5G è particolarmente ricco di spunti e ci ha permesso di confrontare l’esperienza del Parlamento italiano con quella del Parlamento britannico, grazie alla testimonianza di Lorna Christie, consulente presso il Parliamentary Office for Science and Technology (POST), l’ufficio di consulenza scientifica al servizio del Parlamento britannico da oltre 30 anni, e autrice del documento pubblicato dal POST sul 5G. Il dibattito ha inoltre beneficiato del contributo di tre scienziati, Alessandro Armando dell’Università di Genova, Angela Benedetti dello European Center for Medium-Range Weather Forecasts e Alessandro Vittorio Polichetti dell’Istituto Superiore di Sanità, che ci hanno permesso di capire la complessità di alcuni rischi posti dallo sviluppo della nuova generazione di comunicazioni mobili e dunque di apprezzare la portata della sfida normativa e politica che i Parlamenti di tutto il mondo stanno affrontando.
L’interesse verso il tema della consulenza scientifica nasce all’interno dell’iniziativa ‘Scienza in Parlamento’, lanciata da un gruppo di ricercatori (giovani italiani che lavorano oggi all’estero) e giornalisti scientifici che chiede l’istituzione di un ufficio di consulenza scientifica al servizio del Parlamento italiano. L’iniziativa, nata all’inizio di aprile del 2019 con una petizione online che ha ottenuto un discreto seguito soprattutto nell’accademia, ha stabilito un dialogo con il Parlamento, in particolare con il vicepresidente della Camera dei deputati Ettore Rosato e i direttori dei servizi studi di Camera e Senato. A giugno del 2019, durante un workshop organizzato alla LUISS di Roma, abbiamo confrontato il sistema italiano con quello di altri Paesi europei (la sintesi dell’incontro è stata fatta da Alessandro Allegra intervistato dalla trasmissione Radio 3 scienza).

Perché il 5G?

Il 5G è la nuova generazione di comunicazioni mobili che sfrutterà onde elettromagnetiche di frequenze in parte diverse rispetto a quelle delle generazioni precedenti. In particolare potrà beneficiare di ampiezze di banda molto più grandi rispetto al passato, soprattutto nelle fasi più avanzate del suo sviluppo. Questo garantirà performance inedite in termini di velocità di connessione, latenza e capacità di servire un enorme numero di dispositivi concentrati in piccole estensioni di territorio.

La realizzazione della rete 5G è una sfida tecnologica notevole. Richiede infatti la costruzione di nuove infrastrutture, da una parte l’installazione di nuove stazioni radio e nuove antenne, dall’altra l’ammodernamento della rete che connette queste antenne tra loro. Inoltre, pone problemi nuovi sulla gestione dello spettro delle frequenze. Ma è una sfida che vale la pena affrontare perché offre opportunità di sviluppo senza precedenti in numerosi settori. Nella prima fase l’applicazione principale sarà la comunicazione mobile a banda ultra larga, successivamente le applicazioni riguarderanno: i trasporti (auto a guida autonoma o assistita, monitoraggio della sicurezza stradale), la salute (telemedicina, ambulanze connesse, chirurgia da remoto), la manifattura (integrazione nella catena di montaggio di componenti autonome mantenendo elevati standard di sicurezza), la gestione delle reti di energia e tanto altro ancora. Insieme alle opportunità vengono i rischi che i legislatori devono conoscere e imparare a gestire.

Come si è mosso il Parlamento italiano?

La Commissione IX trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati ha condotto un’indagine conoscitiva sulla transizione verso il 5G e la gestione dei big data cominciata nel settembre del 2018 e conclusasi a luglio di quest’anno con la presentazione del documento conclusivo

.alcune pagine del documento conclusivo dell'indagine della Camera sul 5G

 

Alcune pagine del documento approvato a luglio 2020 dalla Commissione IX della Camera dei Deputati a conclusione dell’indagine conoscitiva su 5G e big data.

 

Sono state tenute 26 sedute durante le quali hanno testimoniato 50 esperti appartenenti a diverse realtà: 5 rappresentanti delle istituzioni (Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza e Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica che fanno capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Polizia Postale, l’Agenzia per la Garanzia delle Comunicazioni, l’Agenzia per la Concorrenza del Mercato, l’Agenzia per l’Italia Digitale), 14 ricercatori di università e centri di ricerca pubblici, 4 rappresentanti di associazioni come Legambiente o l’Associazione medici per l’ambiente, 19 rappresentanti degli operatori di telefonia mobile e delle aziende coinvolte nella costruzione dell’infrastruttura in fibra ottica o nella fornitura di componenti hardware per la rete core e di accesso, 2 rappresentanti delle aziende di social networking e 3 operatori televisivi. Questo rende l’idea dello sforzo che questa indagine ha significato in termini di tempo e risorse.

Dopo aver fatto una panoramica delle opportunità di sviluppo del 5G, il documento si concentra su due argomenti. Il primo sono le strategie di mercato che gli operatori del settore delle telecomunicazioni stanno adottando per costruire l’infrastruttura di rete e gli ostacoli che stanno incontrando. Ad esempio viene discusso il problema della copertura delle cosiddette aree a fallimento di mercato, principalmente aree rurali, in cui molto probabilmente la domanda di servizi di connessione ad alta velocità non ricompenserà gli operatori dei loro investimenti. Per favorire lo sviluppo della rete 5G in queste zone del Paese, che allo stato attuale non sono raggiunte né dalla rete in fibra ottica né dal 4G, lo Stato ha previsto una serie di incentivi sia per Open Fiber, che si occuperà di estendere la rete in fibra, sia per gli operatori di telefonia mobile che hanno acquisito i primi lotti di frequenze 5G all’asta organizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico. Non è chiaro, però, quanto questi strumenti saranno efficaci.

Il secondo argomento ha riguardato il quadro normativo che aiuterà lo Stato a governare la transizione verso questa nuova tecnologia.

Gli operatori telefonici hanno lamentato un’eccessiva complessità delle procedure burocratiche necessarie per ottenere i permessi di installazione dei nuovi apparati. La legge in materia spesso richiede di dialogare con una molteplicità di soggetti istituzionali e amministrazioni locali che non sempre hanno posizioni concordanti.

Impatti sulla salute

Anche le norme sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici sono stati indicati da parte degli operatori come ostacoli allo sviluppo del 5G. Come ci ha spiegato Alessandro Polichetti, primo ricercatore all’Istituto Superiore di Sanità dove si occupa degli effetti delle radiazioni non ionizzanti sui sistemi biologici e tra gli esperti ascoltati sul tema dei rischi per la salute durante l’indagine conoscitiva, l’Italia adotta dal 1998 norme più severe rispetto al resto dei Paesi europei. I limiti di esposizione alle radiazioni elettromagnetiche nell’intervallo di frequenze che va dai 100 kilohertz fino ai 100 gigahertz sono fissati a 6 V/m. Questo valore è stato ottenuto applicando un fattore correttivo ai valori di sicurezza stabiliti dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) a partire da un’analisi dagli effetti di breve termine dei campi elettromagnetici sulla salute umana (effetti di riscaldamento). I valori di sicurezza di ICNIRP sono più alti dei limiti italiani e variabili con la frequenza (da 20 V/m fino a 60 V/m), ma l’Italia aderendo al principio di precauzione ha deciso di adottare soglie più basse.

Per quanto riguarda gli effetti di lungo termine, in particolare la cancerogenicità dei campi a radiofrequenza, non esistono prove scientifiche, ci ha ricordato Polichetti, ma, sempre in linea con il principio di precauzione l’agenzia europea per la ricerca sul cancro (IARC) li ha classificati come possibili cancerogeni nella categoria 2B. Un parere simile è stato espresso dallo Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks (SCENIHR) della Commissione Europea nel 2015. Durante l’audizione i rappresentanti di Legambiente, l’Associazione dei medici per l’ambiente e l’Istituto Ramazzini hanno sottolineato la necessità di proseguire la ricerca sugli effetti di lungo termine dei campi elettromagnetici, anche alla luce dei risultati del National Toxicology Program statunitense (e di uno studio dell’Istituto Ramazzini stesso) che hanno trovato segnali contrastanti. Hanno ribadito però che i limiti imposti in Italia non dovrebbero in nessun caso essere rivisti al rialzo. Su questo argomento l’Organizzazione Mondiale della Sanità porta avanti l’International EMF Project che ha come obiettivo quello di condurre delle analisi periodiche delle evidenze scientifiche sugli effetti sulla salute e sull’ambiente dei campi elettromagnetici con frequenze tra 0 e 300 gigahertz, di incoraggiare di concerto con le diverse agenzie di finanziamento della ricerca programmi mirati ad approfondire gli aspetti finora meno esplorati e, infine, di favorire l’armonizzazione degli standard di protezione a livello internazionale.

Cybersicurezza

L’altro tema su cui si concentrano le norme che influiranno sullo sviluppo del 5G è quello della cybersicurezza, che è stato ampiamente affrontato durante + l’indagine della Commissione. Alessandro Armando, professore in Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università di Genova e vicedirettore del Laboratorio Nazionale sulla Cybersicurezza all’interno del Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI), ci ha spiegato che non sappiamo ancora prevedere che tipo di vulnerabilità avrà la rete 5G, ma sappiamo che alcune sue caratteristiche la esporranno particolarmente ad attacchi e intrusioni esterne. La maggiore dipendenza dal software nella gestione della rete, la virtualizzazione della sua architettura e il maggior numero di dispositivi connessi (dunque il moltiplicarsi dei punti di accesso) sono tutte novità introdotte nella rete 5G rispetto alle precedenti generazioni e apriranno il campo a tutta una serie di problemi nuovi dal punto di vista della sicurezza.

Anche la filiera di approvvigionamento dell’infrastruttura di rete giocherà un ruolo importante. L’affidabilità degli attori che partecipano alla filiera e degli operatori che gestiscono la rete saranno fattori determinanti per la sicurezza dei servizi che verranno offerti. In questo senso, ha sottolineato Armando, bene ha fatto il nostro Governo a dotarsi di strumenti normativi che gli permetteranno di accertare la sicurezza dei prodotti acquisiti e dei servizi utilizzati. Si riferisce in particolare alla legge del 2019 che ha istituito il perimetro di sicurezza cibernetica nazionale. La legge stabilisce, tra le altre cose, un ruolo di primo piano per il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale (CVCN) che si occuperà di validare prodotti e servizi usati nelle infrastrutture di interesse nazionale. Proprio in questi mesi è in corso il reclutamento del personale che farà parte del CVCN e Armando ha sottolineato come sia fondamentale che lo Stato diventi competitivo con il settore privato sul mercato del lavoro per assicurarsi di assumere persone con competenze di primissimo livello, ed evitare che i controllati possano ingannare i controllori semplicemente perché hanno professionisti più competenti in materia. La necessità di investire in competenze è stata in effetti sollevata anche da parte delle istituzioni ascoltate durante l’indagine della Camera. Armando ci ha descritto lo sforzo dell’accademia italiana che negli ultimi anni ha attivato numerosi corsi di laurea e di dottorato nell’ambito della cybersicurezza. È fondamentale però, ha aggiunto Armando, che la formazione continui anche fuori dall’università perché il campo è estremamente dinamico e richiede un costante e puntuale aggiornamento.

Interferenza con satelliti meteo

Un aspetto critico, che non è stato considerato dal Parlamento italiano e da nessun altro parlamento finora, è quello del rischio di interferenza delle comunicazioni 5G con i satelliti meteorologici. Ce ne ha dato conto Angela Benedetti, meteorologa dello European Center for Medium-Range Weather Forecasts (ECMWF) dove si occupa dei sistemi di acquisizione di dati per le previsioni e il monitoraggio della composizione atmosferica, in particolare degli aerosol. Le previsioni meteorologiche beneficiano di un ricco e complesso sistema di dati raccolti da diversi tipi di dispositivi, alcuni collocati sulla superficie terrestre, altri a bordo di aerei o navi, altri ancora ospitati da satelliti geostazionari o orbitanti. Nella banda a 24 GHz, che sarà impiegata nella fase di sviluppo più avanzata del 5G, operano una serie di strumenti a bordo di satelliti in orbita polare che registrano in particolare la concentrazione di vapore acqueo presente in atmosfera. Si tratta di sensori passivi in grado di rilevare la radiazione solare riflessa dalla terra dopo aver attraversato l’atmosfera. Osservando il profilo di assorbimento nelle microonde, è possibile misurare la quantità di vapore acqueo, anidride carbonica e ozono presenti nella nostra atmosfera.

I dati raccolti da questi sensori sono particolarmente importanti per l’accuratezza delle previsioni meteo, come ha dimostrato il caso dell’uragano Sandy, che ha colpito la costa est degli Stati Uniti alla fine di ottobre del 2012. In quell’occasione proprio la disponibilità dei dati raccolti da questi sensori satellitari ha permesso allo ECMWF di prevedere correttamente il percorso dell’uragano con 4 giorni di anticipo rispetto alla NOAA, la National Oceanic and Atmospheric Administration responsabile tra le altre cose del servizio meteo degli Stati Uniti. Sandy ha causato danni stimati in 68,7 miliardi di dollari e ha provocato la morte di 223 persone. La possibilità di prevedere con anticipo eventi meteo estremi come questo può fare la differenza, permettendo ai governi di proteggere al meglio la popolazione.

Cosa succederebbe quindi se le comunicazioni 5G interferissero con il lavoro di questi satelliti? Un workshop organizzato dallo ECMWF nel 2018 ha mostrato che tale interferenza potrebbe causare una perdita di accuratezza del 40-50%, sottolineando però che questa stima dipende molto dal profilo atmosferico considerato. Le preoccupazioni dei meteorologi sono state rappresentate dalla World Meteorological Organization (WMO) durante la World Radiocommunication Conference del 2019, dove si è discusso degli standard sul 5G, chiedendo di stabilire limiti stringenti alle emissioni fuori banda delle antenne 5G che trasmetteranno intorno a 24 GHz. La International Telecommunication Union, che organizza la conferenza, ha assunto una posizione di mediazione tra le richieste della WMO e quelle della delegazione USA, influenzate dall’industria, stabilendo un limite di -33 decibel watts fino a settembre 2027, e di -39 decibel watts successivamente. È fondamentale, ha concluso Benedetti, che i meteorologi producano studi coordinati e approfonditi sugli effetti di interferenza che questi limiti genererebbero per poter proteggere nell’arena internazionale l’accuratezza delle previsioni meteorologiche.

Lo stile del documento

Tornando all’indagine della Camera, vale la pena fare un commento sullo stile del documento, che potremmo definire narrativo. Si tratta del resoconto delle audizioni ed è sostanzialmente un collage delle testimonianze portate dagli esperti. Sono tecnici e parlano un linguaggio tecnico che non viene ‘sciolto’ nel documento, neanche con un glossario che aiuti a comprendere gli innumerevoli acronimi utilizzati. La domanda che viene da porsi è: uno strumento come quello dell’indagine conoscitiva non beneficerebbe dell’attività di un ufficio che invece si occupi di fare mediazione culturale e offra una preparazione di base ai deputati perché sfruttino al meglio le occasioni di incontro con gli esperti durante le audizioni?

Il lavoro del POST sul 5G

alcune pagine del research briefing sul 5G redatto dal POST

 

Alcune pagine tratte dal briefing redatto dal POST sulla tecnologia 5G.

 

Il research briefing sul 5G pubblicato dal POST alla fine di luglio del 2009 fa parte di una gamma di documenti di sintesi e approfondimento prodotti dall’ufficio di consulenza britannico, che hanno l’ambizione di essere imparziali, accessibili ed esaustivi dello stato della conoscenza scientifica sui diversi argomenti. Il motto del POST è “bridging research and policy” e le sue attività comprendono anche l’organizzazione di incontri tra esperti e parlamentari, formazione per i parlamentari su specifici temi perché portino avanti nel modo migliore possibile la loro attività di controllo dell’operato del governo, programmi di stage destinati a ricercatori con diverso grado di esperienza (dagli studenti di dottorato ai professori) e, non ultima, quella di offrire supporto ad altre democrazie nella costruzione di meccanismi di consulenza scientifica.

Il briefing sul 5G nasce perché il Governo britannico ha espresso la volontà di fare del Paese uno dei leader nello sviluppo di questa tecnologia. Per redigere il documento, ci ha spiegato Lorna Christie, il POST ha consultato gli operatori di telefonia mobile britannici che hanno condotto le prime sperimentazioni sulle reti 5G per fare il punto sul loro stato di avanzamento. Il tema dell’impatto sulla salute è stato affrontato perché i membri del Parlamento hanno manifestato molto interesse a riguardo, sollecitati dalle domande dei loro elettori. Dal punto di vista metodologico, il rapporto si basa su una revisione della letteratura scientifica esistente, ma stabilisce poi un dialogo diretto con alcuni esperti (per il 5G sono stati intervistati 20 esperti) con l’obiettivo di identificare gli aspetti più controversi. La prima bozza del documenta affronta poi diversi livelli di revisione, sia all’interno che all’esterno del Parlamento con lo scopo di calibrare il linguaggio perché sia comprensibile per i deputati e di garantire imparzialità sia dal punto di vista scientifico che politico. Christie ha sottolineato infatti che il POST non produce raccomandazioni ma fornisce un quadro della conoscenza tecnica per informare il dibattito parlamentare.

Stabilire l’impatto che il documento ha avuto non è facile, soprattutto perché il lavoro del POST si interseca con una serie di altri canali attraverso cui la conoscenza scientifica raggiunge i membri del Parlamento. In particolare il POST svolge un ruolo complementare a quello delle libraries della House of Commons e della House of Lords che producono documenti anche su temi scientifici ma più focalizzati sugli aspetti normativi che tecnici. Due altri aspetti differenziano l’attività delle libraries rispetto a quella del POST. Il primo è che le libraries non si rivolgono a esperti esterni, ma si limitano piuttosto a una revisione della letteratura. Il secondo, forse più importante, è che hanno esclusivamente un ruolo reattivo rispetto ai lavori del Parlamento, si concentrano cioè sui temi che via via sono di interesse per i deputati durante la loro attività di dibattito e controllo. Al contrario il POST ha anche un ruolo proattivo, svolge cioè attività horizon scanning, preparando note su argomenti scientifici e tecnologici che avranno impatto politico e sociale nel prossimo futuro ma che non sono ancora all’ordine del giorno nei lavori delle due Camere.

Diversi modelli di consulenza scientifica per i legislatori

Dal confronto tra il modello britannico e quello italiano si capisce che l’istituzione di un ufficio di consulenza scientifica al servizio del Parlamento italiano permetterebbe di sfruttare meglio gli altri canali formali e informali già esistenti, compreso quello dell’indagine conoscitiva. Suggerisce, inoltre, l’opportunità di potenziare l’attività dei servizi studi che già operano all’interno delle nostre Camere. Il compito di questi servizi è simile a quello delle libraries della House of Commons e della House of Lords, ma al loro interno non sono presenti competenze nell’area delle scienze naturali, essendo ben coperte solo le discipline giuridiche ed economiche.

Per avere un’idea delle differenze, ecco come si presenta la House of Commons Library.

Chiaramente ogni Paese ha bisogno di sviluppare una soluzione su misura, ma esistono diversi modelli da cui prendere esempio in Europa. In questo articolo, pubblicato sulla rivista Humanities & Social Sciences Communications, un gruppo di ricercatori del Department of Science, Technology, Engineering and Public Policy di UCL confronta tre casi: il POST, l’ufficio francese Office parlementaire d’évaluation des choix scientifiques (OPECST) e il TA-SWISS, la fondazione che si occupa del technology assessment per conto del governo federale svizzero.

I tre uffici differiscono per missione, posizione rispetto al Parlamento, scelta degli argomenti da approfondire, tipo di documenti prodotti e metodologia usata per produrli. Mentre il POST e il TA-SWISS hanno come obiettivo quello di offrire una sintesi imparziale e accessibile di temi scientifici senza offrire indirizzi politici, l’OPECST fornisce raccomandazioni stabilendo un’interlocuzione con la comunità scientifica attraverso eventi e seminari. Come abbiamo visto, per produrre i suoi briefing il POST si avvale di consulenti interni che intervistano esperti, appartenenti all’accademia ma anche a organizzazioni non governative e think tank. Il TA-SWISS invece costruisce comitati di esperti esterni sulla base dell’argomento e ne affida la supervisione a un membro interno. L’OPECST è invece composto da membri del Parlamento francese. Diverso è anche il loro inquadramento giuridico. Se infatti il POST è un organo interno al Parlamento e viene da esso finanziato, il TA-SWISS è una fondazione esterna controllata dall’Accademia svizzera delle scienze. Infine, mentre POST e TA-SWISS hanno ruolo sia reattivo che proattivo rispetto al dibattito parlamentare, l’OPECST sceglie gli argomenti esclusivamente sulla base delle proposte dei deputati.

Gli autori dell’articolo sottolineano però che si sa ancora poco sui diversi sistemi di consulenza scientifica ai legislatori, in particolare sulla loro efficacia. Si tratta infatti di un argomento poco approfondito dai ricercatori che studiano il rapporto tra scienza e politica, al contrario di quanto accade per i sistemi di consulenza scientifica agli organi esecutivi dello Stato. In questo senso è prezioso il lavoro del network EPTA, lo European Parliamentary Technology Assessment, che raggruppa i 23 uffici di consulenza scientifica dei Parlamenti europei e in cui l’Italia è purtroppo assente. EPTA crea delle occasioni di confronto tra i Paesi e mette in relazione gli uffici tra loro permettendogli di scambiarsi opinioni sulle loro pratiche.

Questo tipo di scambio è particolarmente utile alla Spagna, che si prepara a istituire un ufficio di consulenza scientifica al Parlamento. Poche settimane fa il gruppo #CienciaenelParlamento, formato da ricercatori spagnoli e nato alla fine del 2018, ha incontrato alcuni rappresentanti del Congresso per mettere a punto il modello che più si adatti al contesto spagnolo. Che l’Italia possa essere il prossimo paese europeo a intraprendere questa strada?


dal sito scienzainrete.it